Senza pensare ad altro, come a mio solito, volli subito levarmi la prima curiosità ed esordii così: “Il cane è veramente tuo o l’hai rubato a qualcuno? Sembra appena uscito dalla villa di qualche ricco signore o da qualche allevamento prestigioso!” – Il ragazzo per un attimo mi guardò un po’ storto, poi però il suo tono di voce non rispecchiò l’impressione che il suo volto stava trasmettendo, anzi sembrava rilassato e la conversazione assunse un tono amichevole: “Certo che Red è mio, sin dalla sua nascita e così sarà per il resto della sua vita! Io e lui siamo inseparabili. Comunque permettimi di presentarmi il mio nome è Black.” – Mi porse la sua mano secca, callosa e anch’essa tatuata; tra tutti spuntava a lettere cubitali la parola “F U C K” scritta sulle dita in modo abbastanza grezzo, quasi come se la fosse fatta da sola quella scritta. “Un gesto chiaro e istintivo nei confronti della vita. Sotto certi aspetti lo capisco.” – Pensai.
Quando gliela strinsi, lui, con un movimento fulmineo, piombò accanto a me al posto di tirarmi su e dopo poco si mise a rollare uno spinello. Non fumavo erba da un sacco ed ero ancora nauseato dall’alcol bevuto in quello strano bar, una canna probabilmente mi avrebbe aiutato, o forse no.Mentre roteava la cartina lasciò andare la schiena e si tuffò su quella vecchia clair come se fosse un materasso morbido desiderato da tempo. Il cane intuì subito le intenzioni del padrone e dopo un breve giro di perlustrazione dell’area si sedette non lontano, a controllare la strada.
Non so esattamente cosa lo colpì di me però sentiva che poteva fidarsi visto che iniziò a raccontarmi tutta la sua storia: “Sai la vita è strana, mi sentivo senza uno scopo, senza una destinazione, condannato a vagare in eterno in cerca di qualcosa e senza sapere nemmeno cosa esattamente. Sono nato in un piccolo paesino a sud della Francia. Le estati erano calde e colorate, piene di profumi, mentre gli inverni erano miti e decisamente sopportabili. Avevo un sacco di amici e un ottimo rapporto con i miei genitori, o almeno così è stato fino alla fine della scuola. Quando fatichi tanto per un obbiettivo non ti importa del tempo che passa e tanto meno di come lo occupi, tanto il tuo percorso è già deciso e sai che solo quello dovrai fare negli anni a venire. Una volta perso questo entusiasmo, raggiunto il tanto acclamato risultato che tutti si aspettavano da te, ti senti come vuoto, abbandonato a te stesso, condannato a costruirti un nuovo percorso per non perderti.
Proprio in quel momento il tempo inizia a pesare, ogni singolo giorno vola via e si imprime nella tua coscienza come un piccolo taglio che piano piano si allarga, assorbendo tutti quelli che ti circondano, ed è sempre più difficile rimarginarlo recuperando tutto quello che si è perso la dentro. Hai capito cosa intendo dire vero? La vita è facile quando te la raccontano sui banchi di scuola, quasi come se fosse una favola piena di persone buone e cattive da incontrare, ma poi è tutta un’altra storia quando ti ci lanciano in mezzo senza neanche troppo preavviso… Poveri noi che ancora proviamo certe emozioni!”
Rimasi un attimo li titubante. Quel ragazzo era così simile a me, sembrava aver capito tutto, così sereno parlava del disagio che ci affliggeva ormai da anni; eravamo una generazione segnata sin dal principio. Pochi ideali, ogni insegnamento o morale trasmessa da padre in figlio era ormai sbiadita e messa in discussione dal tempo e dai cambiamenti sempre più veloci che il mondo ci presentava. Eravamo lì, immobili, mentre la crisi economica divorava i nostri portafogli e le nostre opportunità, noi divoravamo il nostro tempo e i nostri sogni perdendoci in un mare di pensieri futili e vuoti.
Improvvisamente mi ricordai del perché ero scappato, del perché in tanti erano scappati nella vana speranza di ritrovare sé stessi, di intraprendere un nuovo percorso che avrebbe dato un senso alla nostra esistenza. Mentre rimurginavo tra me e me non mi accorsi che Black mi stava osservando attentamente e con uno sguardo strano. Non era arrabbiato o deluso dalla mia mancata risposta anzi, sembrava aver capito la mia situazione. Le sue parole mi avevano colpito profondamente e ora, come dopo aver subito una forte botta, dovevo riassestare la mente e capire se quei pensieri mi avessero in qualche modo urtato o danneggiato o se fossero stati come un faro di luce in mezzo a una strada buia e nebbiosa.
Improvvisamente però, come colpito da un raptus, decisi di complicare la situazione, di porgli una domanda scomoda, la stessa che spesso avevano rivolto a me in conversazioni del genere e che sempre mi aveva lasciato senza una risposta valida con la quale controbattere. Sembrava sapere tutto e aver trovato una sorta di pace interiore che gli permetteva di affrontare qualsiasi tipo di avversità. “Posso sfruttare questa sua forza per cercare delle risposte valide anche per la mia situazione” – pensai tra me e me. Quindi senza pensarci due volte iniziai ad apostrofare con un tono a tratti quasi provocatorio: “Hai pienamente ragione, io mi rivedo in molte delle cose che dici e a questa sottospecie di “vuoto” emotivo ho sopperito nella stessa maniera, scappando lontano, dimenticando tutto il resto e sperando di trovare una nuova casa, una nuova vita nella quale rifugiare la mia anima. Ma allora non ti sei mai chiesto perché invece molti altri come noi hanno deciso di rimanere e provarci? Alcuni ci sono anche riusciti e ora di certo se la passano meglio, soddisfatti pienamente di loro stessi. Noi invece siamo i codardi, quelli che di fronte a un problema più grosso di loro non cercano una soluzione ma si allontanano sperando di scansarlo; a volte mi sento così e spesso mi pento delle scelte che ho preso, in notti buie come queste vorrei non essere mai partito, non aver mai deluso tante persone alla quale tenevo. Non pensi che questa non sia la nostra vera vita ma solo un’altra favola che noi vogliamo raccontarci per riuscire a dormire la notte?”
Lo avevo messo palesemente in difficoltà, Black mi guardava fisso, immobile come una statua di cera con gli occhi neri e lucidi. Persino Red sembrava aver intuito la pesantezza della situazione e accennò un mezzo pianto rivolto al padrone prima di accucciarsi sul marciapiede. Seguirono attimi di silenzio imbarazzante che io decisi di interrompere. “Non volevo metterti in difficoltà amico, lo so, la mia mente è un casino e partorisce pensieri di ogni tipo senza darsi un freno. Ogni persona è diversa e c’è chi riesce ad affrontare determinate situazioni in un modo e chi in un altro, non spetta a noi il diritto di giudicare o di essere giudicati, non riusciamo a capire che la cosa più importante è il giudizio che abbiamo di noi stessi.”.
Le mie frasi sembrarono non sortire nessun effetto immediato su Black che si era come fossilizzato in quello sguardo che avevo assunto delle sfumature miste di tristezza, dolore e vuoto. Un terribile vuoto affliggeva la sua mente in quel momento, glielo leggevo negli occhi. “Sono proprio un disastro” pensai tra me e me. “Ho trovato qualcuno che potrebbe capirmi e ho smorzato tutto il suo entusiasmo con uno dei miei soliti monologhi tristi e malinconici, pieni di rimorsi e pentimenti. Cosa vivo a fare? Per demoralizzare i miei simili? Per ubriacarmi e strafarmi mentre le persone intorno a me mi pigliano per il culo e mi scalciano via?”